La diffusione della canapa nel Mondo
Come si diffuse la canapa in occidente è ancora oggi una tesi in sviluppo, se infatti secondo la seppur scarsa letteratura ufficiale fu introdotta nel bacino del Mediterraneo fino all’Europa occidentale e in Medio Oriente con le migrazioni delle tribù nomadi provenienti dall’Asia centrale tra il II e I secolo a.C, studi più recenti hanno dimostrato come fosse già presente sul territorio italiano migliaia di anni prima.
A evidenziarlo è una ricerca condotta dall’università degli studi di Modena e Reggio Emilia, che date le prove rinvenute ritiene che la canapa crescesse spontaneamente nelle zone centrali della nostra penisola già dal periodo tardo-glaciale e durante l’Olocene medio e quindi contemporaneamente allo sviluppo dei ceppi asiatici (circa 12.000 a.C). Il sempre maggior numero di ritrovamenti archeologici di polline di canapa e luppolo associati al crescente sviluppo degli insediamenti delle popolazioni pre-Romane (con un picco nel 3000 a.C.), e successivamente Romane (2000 a.C.), dimostra che la coltivazione della cannabis era diffusa al pari di altre colture più conosciute. Altre prove ne confermano la presenza nei pressi del lago di Albano tra il 50 e il 190 d.C., a dimostrare che la sua coltivazione non fu abbandonata per millenni nonostante non fosse diffusa in tutto il territorio.
Non a caso tra i primi a parlare della canapa in occidente furono Greci e Romani che dimostravano di conoscere molte delle applicazioni che la canapa poteva offrire. Le testimonianza sono numerose: come quella di Erotodo (menzionate nell’articolo precedente), di Plinio il Vecchio (77-78 d.C.) che nei Naturalis Historia prescriveva i semi per per la costipazione degli animali nelle campagne, le foglie per il mal di orecchio, le radici per dolori articolari, gotta e bruciature e ne riportava anche l’uso fatto nella produzione di vele e cordami per le galee romane. Di Diodoro Siculo (circa 90-20 a.C.) che descriveva l’uso di una droga utilizzata dalle donne di Tebe per alleviare ogni ansietà che sembrava fosse proprio canapa. O di Pausania di Magnesia, storico e geografo greco vissuto nel II secolo a.C. che menziona la cannabis tra le piante che venivano coltivate a scopo tessile nell’Elide (Peloponneso). Di Galeno, rinomato medico che intorno al 175 ne esaltava le qualità terapeutiche, di Dioscoride che nel suo Anicia Juliana (512 d.C.) realizza il primo disegno botanico della pianta in occidente. Tutte queste testimonianze fanno pensare che fosse una pianta conosciuta da molto tempo prima dell’avvento dell’impero Romano, utilizzata sia in campo medico che nella produzione di tessuti e in quello rituale.
Nel frattempo l’uso della canapa si espandeva nel resto d’Europa e pare che sia in Norvegia che in Svezia venisse usata per la fabbricazioni di fibre intorno al 150 d.C., così come in Inghilterra e Germania qualche secolo dopo (circa il 400 d.C.). Purtroppo con lo sviluppo dell’impero romano rituali e cerimonie religiose “eretiche” rispetto a quelle Cattoliche vennero soffocate, creando un vuoto nella storia delle tradizioni di tutte quelle popolazioni assoggettate alla conquista (come le tribù dei Celti e dei Pitti ad esempio che sappiamo facevano uso di canapa dal IV secolo a.C.) che di fatto non potevano più seguire le antiche usanze, rendendo la trasmissione del sapere molto più complessa o perdendola definitivamente col passare delle generazioni. Questo fu il primo duro colpo che l’occidente (sempre lui) sferrò contro la nostra amata pianta. Fortunatamente dato che non era possibile impedire che venisse coltivata o utilizzata in tutto l’impero, quei pochi che si opposero riuscirono a tenere accesa una fiamma che solo col passare dei secoli avrebbe ripreso a splendere seppur non senza difficoltà.
L’uso della cannabis che come abbiamo detto era largamente diffuso da millenni, nonostante il cammino zoppicante fatto in Europa -dovuto al fatto che con ogni probabilità l’impiego industriale non venne mai del tutto abbandonato- ritrova forza intorno al 1200 d.C. nel Tardoantico e Alto medievale, quando viaggiatori provenienti dall’Africa e dall’Asia reintroducono in Europa l’uso medicinale perduto che in quelle regioni non era mai stato abbandonato. Lo dimostra un compendio anonimo di fitoterapia del IV secolo d.C. – Erbario di Apuleio Platonico- o le opere di Ildegarda, badessa del convento benedettino di Bingen che utilizzavano la canapa in ambito medico.
Purtroppo con la bolla di di Papa Gregorio IX nel 1231 che diede il via alle inquisizioni, si apriva un altro periodo difficile per lo sviluppo e la diffusione della canapa. In Spagna ne venne vietata l’ingestione e in Francia ogni uso medicinale. Ricordiamo Giovanna D’arco -che non fece una bella fine- accusata tra le tante cose di essere anche una consumatrice di cannabis. Nonostante questo la coltivazione non venne interrotta ovunque, soprattutto in quei paesi anti-cattolici che di fatto resero possibile la diffusione e l’utilizzo dei derivati dalla cannabis in tutto il mondo. Non è un caso se nel 1533 Enrico VIII ordinava ai contadini di “coltivare un quarto di acro a cannabis o lino per ogni 60 acri di altre coltivazioni”. La canapa rimaneva una delle piante più economicamente vantaggiose da coltivare soprattutto in seno allo sviluppo delle repubbliche marinare che avevano bisogno dei prodotti derivati dalla sua lavorazione: vele, olio e cordami infatti erano prodotti dalla canapa, che grazie alla sua fibra elastica e forte, poteva resistere meglio di altre alle intemperie della navigazione, allo stress meccanico e l’usura del tempo. Anche le famose tre caravelle di Colombo utilizzavano vele e cordami prodotti dalla lavorazione della canapa, anzi, si può affermare con certezza che dai Fenici fino all’invenzione del battello a vapore, la canapa era stata sempre utilizzata per creare vele, reti da pesca e oli per lampade, così come per la carta delle mappe fino ad allora utilizzate. Comunque in quegli anni il maggior produttore di canapa al mondo era la Russia, che copriva circa l’80% del mercato. L’Inghilterra ad esempio dovendo rimpiazzare circa 50-100 tonnellate di canapa ogni due anni per la sua enorme flotta ne divenne il principale acquirente.
In America invece secondo la storiografia ufficiale la canapa, che non cresceva spontaneamente sul territorio, venne importata intorno al X secolo d.C. quando le prime imbarcazioni vichinghe toccarono le coste del nuovo mondo e successivamente intorno al 1530-45 con l’arrivo delle spedizioni spagnole di Diego de Almagro e Pedro de Valdiva che la fecero conoscere alle popolazioni autoctone dell’odierno Cile. Ci sono però studi alternativi che raccontano una storia bene diversa, in cui la canapa arrivò in America già intorno al 500 a.C. e oltre.
Ricercatori come R. Halkluyt(1582), M. Mertz(1953) o C. Gordon(1971) sostengono come i primi viaggiatori ebrei, fenici e romani avessero contatti abbastanza frequenti con le popolazioni Amerinde e che tra le varie mercanzie esportate ci fossero certamente sacchi contenenti semi di canapa e pipe in legno molto simili a quelle usate in medio oriente intorno al I secolo a.C. Un altro esempio arriva dal Traité du Tabac ou Panacée Universelle(1626) del dr. Leander che descriveva l’uso cerimoniale di alcune erbe da parte dei nativi nordamericani: “…erbe che portano all’estasi e alla comunicazione con gli dei”. Tuttavia alcuni scienziati hanno trovato residui di cannabis, tabacco e foglie di coca in numerose mummie (1500 a.C.) scoperte in Perù.
Un utilizzo più sistematico della pianta cominciò a diffondersi circa duecento anni dopo la “ri-scoperta”: ricordiamo infatti che i primi coloni di Jamestown la piantavano per poi lavorarne le fibre e che poco tempo dopo sia in Virginia (1619) che in Connecticut (1637) vennero emanate le prime leggi che ne imponevano la coltivazione per favorire lo sviluppo economico dell’industria tessile. Anche George Washington era solito piantare canapa nelle sue piantagioni: sul diario del primo presidente degli stati uniti alla data 12-13 Maggio 1765 si poteva leggere: “seminato canapa”. E più avanti: “cominciato a separare i maschi dalle femmine, ma forse è troppo tardi”. O “Sono felice che il giardiniere sia riuscito a salvare tanti semi di canapa indiana […] preparate per bene il terreno e poi piantatela in aprile, la canapa può essere piantata in ogni luogo”. Anche Thomas Jefferson non era estraneo alla sua coltivazione, tant’è che in alcune note prodotte in quel periodo leggiamo: “Anche se la migliore canapa e il migliore tabacco crescono sullo stesso tipo di terreno, la prima è necessaria al commercio e alla navigazione, in altre parole al benessere e alla protezione del Paese, il secondo invece non è utile, anzi è addirittura dannoso […]. È vero che la canapa necessita di più lavoro rispetto al tabacco, ma essa offre materie prime per ogni tipo di industria e può costituire un valido sostentamento per un considerevole numero di persone”. Lo sviluppo divenne così radicale nell’economia statunitense che tra gli stati confederati il Kentucky raggiunse nel 1860 la produzione record di 40.000 tonnellate.